
Con
235 sì, irrompe nella Costituzione italiana, accompagnato da uno strano
silenzio dei media mainstream, il vincolo al pareggio di bilancio
approvato in seconda lettura anche al Senato. Si completa così l’iter
parlamentare del disegno di legge, molto contestato in sede
extraparlamentare in quanto d’inconfutabile stampo neoliberista, che
essendo stato approvato con una maggioranza qualificata dei due terzi,
non dovrà neppure essere sottoposto al giudizio popolare attraverso il
referendum confermativo. La grande coalizione-ammucchiata PD-PDL-UDC ha
votato compatta, mentre si sono opposte Lega Nord ed Italia dei Valori.
A venire modificato è segnatamente l’articolo 81 della carta
costituzionale nata dalla Resistenza, ma già ampiamente stravolta negli
anni, che adesso recita: «Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e
le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle
fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è
consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico
e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta
dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali», quali
«gravi recessioni economiche, crisi finanziarie, gravi calamità
naturali».
Una modifica che risulta stridente rispetto all’impianto dato alla
carta fondamentale dai padri costituenti, che all’articolo 3 recita: «È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese».
Dunque, il ruolo dello stato nell’economia, pensato quasi come una
sorta di guida dall’Assemblea Costituente, esce irrimediabilmente
ridimensionato, quando in un periodo come questo di recessione piena,
come insegna Keynes, la domanda, i consumi e l’occupazione potrebbero
essere risollevati tramite un massiccio piano d’intervento statale.

La ratio della norma, sembra proprio improntata alla demolizione
delle teorie elaborate dall’economista britannico, che nel dopoguerra –
visto il successo della “rivoluzione keynesiana” -venne definito
probabilmente in maniera frettolosa il distruttore di Marx. Anche se,
come la storia ha mostrato, le contraddizioni del sistema capitalistico
sono tante e tali, che l’attualità delle teorie elaborate dal filosofo
di Treviri restano pressoché intatte.
Come spiegato in maniera chiara ed impeccabile dall’economista Vladimiro Giacché intervistato dal portale Today:
«Il pareggio di bilancio, di fatto, sancisce l’illegalità del
keynesismo. Secondo Jhon Maynard Keynes, nei periodi di recessione, con
la ‘domanda aggregata’ insufficiente, era lo Stato, tramite il deficit
spending, a far ripartire l’economia. Secondo questo principio, il
deficit si sarebbe poi ripagato quando la crescita fosse ripresa. Ora,
impedendo costituzionalmente il deficit di bilancio dello Stato – se non
per casi eccezionali e comunque per periodi di tempo limitati – tutto
ciò sarà impossibile. Da oggi il nostro paese abbraccia ufficialmente
l’ideologia economica per la quale la priorità è evitare il deficit
spending, ossia che lo Stato possa finanziare parte della domanda
indebitandosi.
Questa cosa può sembrare apparentemente ragionevole per paesi
indebitati come il nostro, ma in realtà è assolutamente folle. Così
facendo si stanno replicando gli errori drammatici degli anni ’30:
quando ci si trova alle prese con la recessione, oggi come ottanta anni
fa, accade che i privati investono meno. Ed è qui che sarebbe
fondamentale un deciso intervento pubblico, con investimenti che
facciano in modo che la “domanda aggregata”, cioè l’insieme
dell’economia, aumenti, per ripresa. Questi effetti benefici, poi, si
riassorbirebbero negli anni a seguire con effetti positivi sui conti
pubblici. Ad esempio, con un maggior introito di tasse, il governo
avrebbe avuto un rientro maggiore. Da oggi, invece, questo non sarà più
possibile».
Insomma, il Parlamento italiano, in combutta col governo dei tecnici
invocato in modo taumaturgico per “salvare” l’Italia, stravolge la
Costituzione italiana inserendovi una norma che si configura come una
specie di estensione a livello continentale di una norma tedesca che
regola il rapporto tra Stato centrale e Laender, che farà avviluppare
ancor di più quello che una volta era il Belpaese e l’intero continente
nella spirale perversa composta da austerità e recessione.
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