dal sito http://retedeicittadini.it
Riportiamo volentieri
questo appello all’unità, pubblicato qualche giorno fa su facebook,
perchè esprime lo stesso spirito della RETE DEI CITTADINI, che dalla sua nascita ha l’obiettivo di “unire nelle diversità“.
E’ oggi più che mai necessaria un’ampia convergenza tra le forze che
vogliono cambiare l’attuale sistema politico, una federazione
trasversale agli schieramenti di destra, centro e sinistra, che sia in
grado di rispondere ai gravi problemi che sta attraversando il nostro
paese.
AUTOCONVOCHIAMO GLI “STATI GENERALI DEI BENI COMUNI” E PROPONIAMO IL “MANIFESTO” AD UNA AMPIA “ALLEANZA” FRA LE FORZE SOCIALI
da Lino Balza, Medicina democratica
Siamo fermi. Dobbiamo ripartire. Come movimenti, dobbiamo farci
un’autocritica se il governo, con la complicità delle opposizioni e dei
sindacati, si sta facendo beffe dell’esito referendario tramite la
riproposizione tale e quale della messa in gara dei servizi pubblici
locali (rifiuti, trasporti, energia, eccezione apparente l’acqua), e
svendendo il nostro patrimonio collettivo – i beni pubblici sociali
(Mattei) – che la sovrana volontà popolare, con 27 milioni di voti, ha
invece sancito debba essere governato in termini ecologici, sociali e
sostenibili, nell’interesse comune, e non espropriato. Ferme le
responsabilità bipartisan di inaudita gravità politica giuridica e
costituzionale, che vanno denunciate in tutte le forme di lotta
possibili, i movimenti dei beni comuni dovrebbero però interrogarsi sui
propri limiti che hanno favorito in pochi mesi il tentativo di
svuotamento dell’esito epocale dei referendum. E porvi rimedio. Tramite
due strumenti: organizzazione e programma.
Già all’indomani del voto c’è stato chi, fra noi, ha posto l’esigenza
di una organizzazione stabile di tutti i movimenti. Sulla base di un
MANIFESTO DEI BENI COMUNI (Lucarelli). Petrella ne ha perfino coniato la
denominazione: STATI GENERALI DEL GOVERNO DEI BENI COMUNI . Però
l’organizzazione è sempre stata il tallone d’Achille dei movimenti. Non è
che ne siamo incapaci. Anzi. A novembre, ad esempio, abbiamo
organizzato, improvvisando via internet, una vivacissima giornata contro
il nucleare in un centinaio di località italiane, auto convocazione che
ha posto le basi per la mobilitazione referendaria. Oppure pensiamo
alla trionfale organizzazione del popolo dell’acqua: strutturata a
livello nazionale e articolata localmente. E all’eroica resistenza dei
No Tav, e non solo in Valsusa, e ai No Dal Molin e ai tantissimi altri
esempi consolidati negli anni.
Esiste infatti un immenso ma disperso patrimonio di “democrazia
partecipata” composto da mille vertenze sul territorio che si stanno
scontrando con i poteri economico e politico, un patrimonio di movimenti
ambientalisti, civici, non violenti, pacifisti, che però non hanno
spiccato il salto di qualità. Sono sì innervati in una serie di
formidabili reti nazionali (acqua pubblica, rifiuti, inceneritori, ogm,
elettrosmog, nucleare, tav, grandi opere, pace, grillo, amianto, ecc.)
tutte, di fatto, convergenti su un comune alternativo modello di
sviluppo e di politica che, di fatto, è un vero e proprio programma
nazionale, però sono da sempre senza una esplicita piattaforma comune,
senza la spina dorsale di un coordinamento, senza mezzi di comunicazione
unitari, con interne difficoltà e resistenze al collegamento e
all’unità, dunque sempre sull’orlo della sconfitta epocale. Insomma: una
forza politica straordinaria e inespressa. Si è finalmente espressa con
i referendum. Poi si è di nuovo fermata. Eppure, dopo il referendum, nessuno, nessun partito o sindacato, se
non il movimento dei movimenti sarebbe in grado credibilmente di opporre
alla “manovra” di macelleria sociale (M. Bersani) una contromanovra di
alternativa economica e democratica: tasse sui patrimoni e le rendite,
tagli alle spese militari, alle grandi opere e Tav, sviluppo della green
economy, energie rinnovabili, riciclo rifiuti, mobilità sostenibile,
agricoltura biologica, lotta al precariato, sostegno alle pensioni più
basse, recupero del fiscal drag, reddito di cittadinanza ecc.
(Sbilanciamoci).
Dunque è dimostrato che a livelli settoriale e locale esiste, enorme,
una potenzialità auto organizzativa pari a quella propositiva , però
che ci sono dentro i movimenti prudenze esagerate, paure, anche
resistenze culturali a capire la valenza strategica di darsi una
organizzazione stabile a livello nazionale, addirittura resistenze miopi
impastate di autosufficienza e separatezza, oltre alle ostilità
ideologiche. Si è perfino stentato ad ammettere che ciascun quesito
referendario sarebbe stato perdente se scollegato dagli altri. L’affermazione a giugno dei referendum ha illuso molti di noi che
fosse finalmente giunto il momento di costruire una organizzazione
nazionale stabile, sapendo che nessun partito è in grado di
rappresentare le istanze del movimento o solo di contrastare i
prevedibili stravolgimenti post referendari. “Usciamo subito da Roma,”
fu proposto ” facciamo della Valsusa la sede ufficiale dei comitati dei
beni comuni, per un modello alternativo di sviluppo e democrazia”. A
qualche mese di distanza, lo spirito di quell’appello rimane valido.
Restano valide le affermazioni fatte: “Con lo straordinario avvenimento
politico del referendum ha trionfato un nuovo modello di fare politica.
la fine di un ciclo politico e culturale. è nato un nuovo laboratorio
politico. il conflitto, la partecipazione e i beni comuni sono le nuove
categorie per la nascita di nuove soggettività politiche fuori e oltre
il sistema dei partiti”. Resta dunque valida l’opportunità allora
avvertita di impegnarci per un” MANIFESTO DEI BENI COMUNI”. Resta valido
l’obbiettivo che gli “STATI GENERALI DEL GOVERNO DEI BENI COMUNI”, o
come altrimenti si vuole chiamarli, “siano il primo e rapido atto
costituente del popolo dei beni comuni”. Ebbene, convochiamo questi
Stati generali, autoconvochiamoci! Di lì, in piena autonomia, tenteremo
di costruire una “ALLEANZA PER I BENI COMUNI” (Giustini) cercando di
coalizzare in un patto forze sociali, sindacali e politiche, centri
sociali, circoli culturali, associazioni civiche, studentesche, reti,
imprese sociali ecc. (Viale) . Autoconvochiamoci. Chi è d’accordo alzi la mano (via internet). Ci
siamo già riusciti, ripeteremo il miracolo. Abbiamo i programmi
alternativi e gli uomini e le donne, ci manca l’organizzazione. Con
l’organizzazione poniamo le basi per la creazione dal basso di una nuova
classe dirigente che faccia fuori l’insopportabile occupazione del
potere a tutti i livelli amministrativi e statali. Non siamo velleitari:
proponiamoci solo di porre le basi. Nessuno vorrebbe abolire i partiti.
Rivoltarli come un calzino, sì. Pensare globalmente e agire localmente: abbiamo sempre detto, però
più che mai è tempo che la dimensione locale diventi quella nazionale.
Come indirizza l’esito dei referendum. Se invece continuiamo a ragionare
per compartimenti stagni, ognuno curando il proprio “bene comune”, non
faremo molta strada, né globalmente né localmente. Saremo perdenti se
non difendiamo, conquistiamo tutti i “beni comuni”. “Beni comuni” sono
l’acqua, i servizi pubblici, l’aria, le energie, zero rifiuti, ma anche
la salute, la sanità pubblica, i saperi, l’istruzione, ma anche il
territorio, le fonti non rinnovabili, la vita del pianeta, gli
ecosistemi, la biodiversità, ma anche il lavoro, la casa, il cibo, la
sociodiversità, le relazioni sociali. Gli strumenti di conquista sono,
dal basso, la partecipazione e la democrazia. Complessivamente, la
difesa e la conquista , la riappropriazione e la messa in comune di
questi “beni comuni” significano la conquista e la costruzione di un
modello alternativo di politica e di sviluppo, alternativo
all’espropriazione-privatizzazione capitalistica dei beni e dei luoghi
comuni materiali e immateriali che si avvale (la “manovra”) della stessa
provocata crisi economica e sociale per accrescere precarietà, povertà e
profitti. Se tale è il progetto che ereditiamo dai referendum, non
dobbiamo perdere tempo in compartimenti stagni, a lavorare separatamente
chi per l’acqua, chi per le fonti rinnovabili, chi per i rifiuti ecc.
Organizziamo la partecipazione, la democrazia. Organizziamoci, senza
fonderci, conservando la propria specificità. Ma organizziamoci.
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