di Riccardo Gardel
L'invaso della città laziale è gestito dalla Provincia e serve allo
smaltimento dei rifiuti del pontino e dintorni. "Incriminata" più volte
in passato come principale causa dell'inquinamento delle falde
acquifere. Ora dopo oltre 20 anni la Regione dovrà chiarire anche se
sotto tonnellate di mondezza sono sepolti fusti tossici, sotterrati lì
dai casalesi
All'interno di una discarica |
Per Carla quelle sette buche, cresciute da quando lei era appena una ragazza, sono sempre state il suo incubo quotidiano: “Qui buttano la monnezza dell’intera provincia, ed è un inferno. Sapere poi che in fondo ci sono anche i rifiuti tossici è insopportabile”.
Dopo la morte del padre, colpito da un tumore, ha deciso di vivere come
forma estrema di protesta in una tenda nel suo giardino. Ha steso gli
striscioni sui cancelli, a una decina di metri dall’ingresso
dell’invaso, dove arrivano i camion da Latina. Non è accaduto nulla.
Dopo anni di proteste ha ottenuto solo una proposta che definisce
umiliante, contenuta in due fogli firmati da Bruno Landi. Ovvero l’ex politico del Psi che da presidente della Regione Lazio ha sempre autorizzato le “emergenze” di Borgo Montello, negli anni ’90, e che oggi amministra la Ecoambiente,
uno dei due gestori dell’invaso. Landi gli ha offerto 1400 euro al
mese, fino al riempimento delle buche. Un indennizzo? No, “un puro atto
di cortesia”, si legge sul contratto che la Ecoambiente le ha mandato.
Tutto era iniziato un po’ alla buona, negli anni ’70, quando un imprenditore locale, Proietto, aveva aperto la sua tenuta ai rifiuti. Poi, secondo il racconto di Carmine Schiavone, qui era nata la prima Gomorra dei rifiuti industriali: per ogni bidone il clan riceveva cinquecento mila lire, ha raccontato nel 1996 ai carabinieri. Fusti interrati almeno fino alla fine degli anni ’80. E poi scarti dell’industria farmaceutica, come racconta Sergio un cacciatore che scalava le montagne di fiale abbandonate per raggiungere le prede: “Interi Tir, una quantità enorme”. La discarica – che nel frattempo era divenuta l’unica nella zona sud di Roma, grazie ad una serie di ordinanze regionali – era cresciuta a dismisura. E abusivamente, visto che l’intera zona era inserita nel Prg di Latina come area agricola.
Tutti qui ricordano i camion che arrivavano la notte da Ferrara, da
Lucca, dal nord industriale alla ricerca di sversatoi dove abbandonare
le scorie. I Casalesi non avevano ancora firmato il
patto del 1989, l’accordo che apriva le porte all’agro di Caserta. Ma
erano già qui, con diverse terre comprate proprio di fianco alla
discarica e oggi acquistate dall’Indeco del gruppo Grossi, il re delle
bonifiche arrestato per Santa Giulia a Milano che a Borgo Montello
gestisce la metà dell’invaso. La notte, raccontano i contadini, sentivi
il rumore dei bidoni rotolare nelle scarpate, di fianco al fiume Astura.
Viaggi silenziosi, viaggi ricchi, camion gestiti dalla prima gerenza
dei clan, quando ai vertici del cartello c’erano ancora i Bardellino,
come ricorda Schiavone.
La provincia di Latina, guidata da Armando Cusani, del Pdl, non ha mai voluto realmente approfondire fino in fondo il traffico di veleni nel sud pontino. Il Comune, quando l’Enea dimostrò la presenza di masse metalliche, parlò di vasetti di omogeneizzati scaduti interrati nel vecchio sito. Persino l’omicidio del vecchio parroco, don Cesare Boschin, trovato incaprettato nel 1995 dentro la sua canonica è rimasto senza colpevoli e senza testimoni. “Don Cesare era un prete all’antica – raccontano i parrocchiani – e la domenica girava casa per casa, vendendo le copie di Famiglia Cristiana. E le donne gli raccontavano tutto, anche degli strani viaggi compiuti dai figli, portando i bidoni”. Il vecchio prete annotava e denunciava. Fino al giorno del suo omicidio, quando dalla canonica sparirono solo due agende. Oggi l’associazione Libera di Don Ciotti chiede la riapertura delle indagini sull’omicidio. E un passo avanti nella ricerca della verità è stato fatto: la Regione Lazio ha dato, finalmente, il via libera a un finanziamento di 850mila euro che entro la fine del 2012 dovrà stabilire, grazie anche ad una commissione di esperti, se e cosa è sepolto sotto metri e metri di terra.
Tutto era iniziato un po’ alla buona, negli anni ’70, quando un imprenditore locale, Proietto, aveva aperto la sua tenuta ai rifiuti. Poi, secondo il racconto di Carmine Schiavone, qui era nata la prima Gomorra dei rifiuti industriali: per ogni bidone il clan riceveva cinquecento mila lire, ha raccontato nel 1996 ai carabinieri. Fusti interrati almeno fino alla fine degli anni ’80. E poi scarti dell’industria farmaceutica, come racconta Sergio un cacciatore che scalava le montagne di fiale abbandonate per raggiungere le prede: “Interi Tir, una quantità enorme”. La discarica – che nel frattempo era divenuta l’unica nella zona sud di Roma, grazie ad una serie di ordinanze regionali – era cresciuta a dismisura. E abusivamente, visto che l’intera zona era inserita nel Prg di Latina come area agricola.
Dal Film: Gomorra |
La provincia di Latina, guidata da Armando Cusani, del Pdl, non ha mai voluto realmente approfondire fino in fondo il traffico di veleni nel sud pontino. Il Comune, quando l’Enea dimostrò la presenza di masse metalliche, parlò di vasetti di omogeneizzati scaduti interrati nel vecchio sito. Persino l’omicidio del vecchio parroco, don Cesare Boschin, trovato incaprettato nel 1995 dentro la sua canonica è rimasto senza colpevoli e senza testimoni. “Don Cesare era un prete all’antica – raccontano i parrocchiani – e la domenica girava casa per casa, vendendo le copie di Famiglia Cristiana. E le donne gli raccontavano tutto, anche degli strani viaggi compiuti dai figli, portando i bidoni”. Il vecchio prete annotava e denunciava. Fino al giorno del suo omicidio, quando dalla canonica sparirono solo due agende. Oggi l’associazione Libera di Don Ciotti chiede la riapertura delle indagini sull’omicidio. E un passo avanti nella ricerca della verità è stato fatto: la Regione Lazio ha dato, finalmente, il via libera a un finanziamento di 850mila euro che entro la fine del 2012 dovrà stabilire, grazie anche ad una commissione di esperti, se e cosa è sepolto sotto metri e metri di terra.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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