dal Manifesto
Andrea Palladino
Nel cappello magico del decreto sviluppo il governo ha inserito di tutto. E già che c'era, ha trovato il posto anche per la norma che istituisce l'agenzia dell'acqua, la struttura - di nomina politica - che dovrebbe regolare il mercato idrico. Il problema, per loro, si chiama referendum, ed è rappresentato dalla volontà chiara di 27 milioni di elettori sulla gestione delle risorse idriche: nessuno spazio per il privato è stato il risultato chiaro. Il Pd, intanto, cerca di avviare la sua campagna di promozione della legge che Bersani ha presentato in parlamento lo scorso ottobre, una proposta che punta in una direzione opposta rispetto al voto popolare.
La struttura dell'agenzia che oggi il parlamento dovrà votare è modellata su quell'articolo 23 bis della legge Ronchi-Fitto abrogato dal primo quesito referendario. Se quelle norme obbligavano l'affidamento ai privati dell'acqua potabile e della depurazione, l'agenzia aveva - nel piano del governo - l'unico obiettivo di regolare il mercato. Perde dunque di senso l'esistenza stessa della norma, visto, tra l'altro, che le risorse idriche costituiscono un monopolio naturale non assoggettabile per definizione alla liberalizzazione. La creazione dell'agenzia di regolazione - pensata sul modello di quella già esistente per l'energia - non ha dunque nessun senso, se non politico, lanciando una piccola ciambella di salvataggio alle multinazionali rimaste scottate dal voto del 12 e 13 giugno.
Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha chiesto ieri che il presidente della Repubblica blocchi il provvedimento, non firmando il decreto di promulgazione. Lo stesso Pd - attraverso gli ecodem - si è detto contrario all'istituzione della agenzia, aggiungendo, però una piccola polpetta avvelenata: «Il partito democratico - hanno dichiarato Roberto Della Seta e Francesco Ferrante - nei mesi scorsi ha presentato una propria proposta di legge che raccoglie le indicazioni dei referendum». Una bugia politicamente colossale, visto che il progetto di legge dei democratici non solo spinge chiaramente sulla gestione privata dell'acqua - attraverso il modello toscano delle società miste - ma tradisce il secondo quesito referendario prevedendo, apertis verbis, la remunerazione dei capitali investiti.
Gli ostacoli per la ripubblicizzazione dell'acqua non sono dunque terminati dopo il voto popolare. I movimenti per l'acqua pubblica hanno ripreso la mobilitazione quotidiana, che dura ormai da oltre cinque anni. Il 2 e 3 luglio prossimi si terrà a Roma la prima assemblea dei comitati territoriali che compongono il Forum italiano, con l'obiettivo primario di rilanciare la proposta di legge popolare che giace in parlamento dal 2007. E anche la Puglia - regione dove prosegue il confronto serrato tra la giunta Vendola e i comitati usciti vincitori dai referendum - la mobilitazione non si è fermata. Già questa settimana in tutte le province pugliesi si terranno diversi incontri dei comitati, per terminare il 25 giugno prossimo con l'assemblea regionale a Bari.
immagine: sovranidade.org
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