giovedì 23 giugno 2011

Chi vuole rubare i referendum sull'Acqua?


Dal sito Internet http://www.ilcambiamento.it

di A. D.

Chi pensa che aver vinto un referendum sia una garanzia sufficiente per assicurarsi una gestione pubblica e fuori dal mercato del servizio idrico, purtroppo s’illude. Bisogna mantenere alta l’attenzione. Un calo di tensione, un rilassamento post-referendario, per quanto comprensibile, non sarebbe perdonato. Sono in atto in tutta Italia, sia a livello nazionale che locale, svariati tentativi da parte delle forze politiche di appropriarsi della vittoria e fare leggi che non ne rispettano i principi.

Il governo ha appena ottenuto la fiducia sul decreto legge Sviluppo che prevede, fra le altre cose, l’istituzione di un’agenzia per i servizi idrici integrati. Un’agenzia che serva, in pratica, a regolare il mercato. Ma come, direte voi, non avevamo stabilito con 27 milioni di voti che l’acqua deve restare fuori dal mercato? Già, e alla luce di questo un’agenzia che regoli un monopolio naturale – come viene definito il servizio idrico dai referendari – è un organismo inutile e privo di senso. Ma intanto il governo lo ha buttato là, come un segno, un avvertimento che la battaglia non si chiude certo qui.

Ma veniamo all’opposizione. Quell’opposizione che compatta aveva appoggiato su tutta la linea le richieste dei referendari, sperando che acqua, nucleare e legittimo impedimento dessero la spallata decisiva al governo traballante. Finita la festa ecco che già il PD rispolvera la legge presentata durante la campagna referendaria. Una legge che stravolge completamente il contenuto dei quesiti e prevede, per la gestione del servizio, delle società per azioni a capitale misto pubblico/privato sul modello toscano, e per il pubblico semplicemente delle forme di controllo.

D’altronde, per rendersi conto dell’anima liberista del Partito Democratico basta rivedersi questo vecchio video dai toni ironici e caricaturali che sta diventando un tormentone in rete; il protagonista è Pierluigi Bersani che illustra la sua visione sulla gestione del servizio idrico, portando come esempi virtuosi persino le multinazionali francesi Gdf-Suez e Veolia.

Neanche dagli enti locali arrivano buone notizie. Perlomeno da alcuni. Il caso più eclatante è quello di Civitavecchia, dove a due giorni dal voto popolare la Giunta comunale ha istituito un bando per la cessione ai privati del 60% delle quote delle municipalizzate, compreso il servizio idrico. Viste le proteste il sindaco Moscherini ha ritirato per 10 giorni il provvedimento ma è comunque intenzionato ad applicarlo, in barba all’esito dei referendum.

Persino la Giunta Vendola in Puglia si è affrettata ad approvare una legge il 14 giugno, proprio il giorno seguente alla consultazione popolare, che pur prevedendo la gestione pubblica del servizio apporta alcune modifiche non da poco. Ad esempio non prevede un quantitativo minimo garantito, principio alla base del percorso referendario, e non apporta modifiche sui contestati meccanismi di nomina degli amministratori.

In tutto questo a nessuno è venuto in mente di ascoltare i comitati, le associazioni, i cittadini. Tutti coloro che hanno svolto il percorso di partecipazione democratica che ha condotto infine alla vittoria referendaria. Una legge già c’è, che ricalca alla perfezione quei principi ispiratori dei referendum che sono stati accolti da un plebiscito di sì il 12 e 13 giugno scorsi. È una legge di iniziativa popolare presentata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua nel 2008 e mai presa in considerazione da alcuna forza politica.

I prossimi 2 e 3 luglio si terrà a Roma una grande assemblea nazionale dei movimenti per l’acqua aperta a tutti. In quella sede si discuterà dell’aggiornamento della legge di iniziativa popolare, e delle prossime mosse per far sì che questa venga considerata un modello per tutte le altre leggi che d’ora in avanti verranno approvate.

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