Può aver compiuto un passo falso, il 10 febbraio, il governo di centrodestra che si riempie ogni giorno a parole di federalismo e di sovranità popolare e poi vara un decreto nucleare centralista, vago e contro la maggioranza del popolo italiano, incluso quel “popolo delle partite Iva” che è alla base del suo successo elettorale. Si tratta di un decreto che:
- mette un bavaglio alle regioni in cui saranno imposti i siti nucleari;
- tace sui nomi delle regioni destinate ad accogliere i siti e le scorie radioattive per secoli, per paura di vedere influenzati negativamente i risultati delle elezioni regionali. Paura legittima, visto che gli italiani, non solo con il referendum del 1987, ma anche dopo, si sono dichiarati contrari e visto che il nucleare al nostro Paese non conviene sotto nessun aspetto perché è una tecnologia vecchia, dannosa per l’ambiente e la salute e insostenibile dal punto di vista economico. Per questo Greenpeace ha aperto una petizione. In soli tre giorni, già 12mila cittadini hanno firmato per chiedere ai loro candidati alle regionali di schierarsi contro il nucleare sul sito www.nuclearlifestyle.it
- non dice nulla su quante centrali sono programmate con quanta energia c’è da aspettarsi e a quali costi. L’Italia, avverte una nota di Greenpeace, usa le cifre che Enel presenta alle conferenze stampa invece di informarsi su quelle che il costruttore francese presenta alle gare d’appalto: negli Emirati Arabi il gruppo guidato dalla francese Areva ha offerto 4 reattori EPR come al nostro orizzonte a un costo di 6,5 miliardi di euro l’uno mentre in Italia la propaganda parla di 4 miliardi;
- sorvola sui sistemi di sicurezza collegati alle centrali (su questa specifica voce le agenzie di sicurezza di tre Paesi, Francia inclusa, hanno pubblicamente dichiarato non sicuro il sistema di emergenza dell’EPR lo scorso ottobre).
Si tratta di un decreto che, in assenza di un piano con dati certi e non propagandisti, può far aumentare il senso di demotivazione della maggioranza degli italiani. Di quell’altra Italia che, invece, spesso in un totale silenzio mediatico (a differenza del clamore mediatico pro-atomo) ha detto sì al cambiamento nel settore energetico investendo, in linea con gli altri Paesi industrializzati come la Germania, risorse e intelligenze verso il risparmio e una maggiore efficienza energetica e verso le fonti rinnovabili di energia. La novità del 2009 è stato il salto impressionante della crescita degli impianti di fonti rinnovabili installati in Italia. Sono 5.991 i Comuni dove è in funzione almeno un impianto, erano 3.190 solo un anno prima, nel 2008; in pratica le fonti pulite che fin o al 1998 interessavano con l’idroelettrico e la geotermia una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nel 79% dei Comuni. Un’ottima notizia che arriva dalla quarta edizione del rapporto “Comuni rinnovabili 2009” di Legambiente, che elabora i dati ottenuti attraverso un questionario rivolto ai Comuni, incrociando le risposte con studi e rapporti di Gse, Enea, Fiper, Anev oltre che di Regioni, Enti locali e aziende.
La crescita interessa tutte le fonti: solare fotovoltaico, solare termico, mini idro-elettrico, geotermia, impianti da biomasse magari collegati a reti di teleriscaldamento.
Il Belpaese, insomma, è pieno di buone pratiche replicabili che mostrano la ricetta per un futuro più pulito, sostenibile, «capace di far risparmiare soldi alle famiglie e alle amministrazioni che sappiano investire in innovazione”, spiega il rapporto di Legambiente curato dal responsabile del settore Energie Edoardo Zanchini, “aumentando significativamente i livelli di comfort abitativi e qualità della vita».
Questi Comuni stanno dando forma a un nuovo modello di generazione distribuita che cambia profondamente il modo di guardare all’energia e al rapporto con il territorio.
È un’Italia dove operano, giorno dopo giorno tanti amministratori e professionisti, tanti artigiani e tecnici, tante piccole e medie imprese come quelle che ho incontrato nell’ultimo anno e che si vede sfilare nelle fiere come le recenti Made di Milano e CasaClima di Bolzano: tanti italiani che si occupano di progettare, dirigere, costruire, collaudare in quella nascente “economia verde” (uno dei pochi settori che sta vedendo crescere fatturati e lavoratori, quasi tutti di quel “popolo a partita Iva” che generalmente vota centrodestra). Essi hanno avuto e avranno un ruolo di straordinaria importanza nell’evoluzione del risparmio energetico e delle fonti di energia rinnovabile.
Senza una consapevolezza dell’opinione pubblica, da una parte l’inerzia, la disinformazione e i soliti affari continueranno a dominare le scelte e le decisioni nei palazzi del potere che punteranno sulla vaghezza del piano nucleare per imporlo a un Paese che in maggioranza non lo vuole.
Dall’altra parte, però, senza un incoraggiamento che premi l’esperienza dei Comuni virtuosi, i risultati dell’operato di questi amministratori ed esperti, scienziati e professionisti che hanno puntato sulle energie giuste, sarebbero inferiori alle potenzialità. Per questo è da auspicare che ognuno di noi possa trovare il tempo per mandare un “bravo” a chi è impegnato, grazie all’energia più pulita, a far respirare aria più buona ai cittadini e a farli risparmiare sulla bolletta. Sarebbe bello che ci si segni sull’agenda di andare a trovare questi Comuni virtuosi, dal paese pioniere di Varese Ligure all’aostana La Thuile, dal blocco dei Comuni altoatesini (Dobbiaco e Vipiteno, Brunico e Prato allo Stelvio in testa) fino al borgo toscano di Scansano e giù in Salento e al suo capoluogo Lecce, sempre più caratterizzato da un ricamo di pietre e di energie. I nomi di tutti questi Comuni virtuosi sono sui siti www.fonti-rinnovabili.it oppure www.legambiente.it. Vale la pena di andare a ricaricare le energie in città che all’energia sostenibile dedicano intelligenza e risorse. Buon viaggio!
Articolo di Salvatore Giannella da fonte Arcoiris
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