lunedì 28 febbraio 2011

Dalle Alpi alle Ande, un grido si espande: ci han tolto l'acqua, altro che mutande.



Da Cochabamba ad Aprilia, le lotte per l'acqua pubblica.

Si potrebbe iniziare parlando del Nuovo Ordine Mondiale, come viene chiamata da un certo tipo di internauti, ma anche da personalità di rappresentanza, come in Italia da Tremonti e Napolitano, quella che potrebbe essere inquadrata in maniera meno velata, ma non meno drastica nella sua funzione, la fusione tra i governi e le multinazionali compiutasi durante gli ultimi trent'anni, altrimenti denominata globalizzazione. I governi/multinazionali di tutto il mondo industrializzato, globalizzato e finanziarizzato, dopo aver lasciato in mutande gran parte delle genti di questo pianeta, hanno deciso di lasciare almeno quelle, perché dopo aver tolto loro il cibo e anche l'acqua da bere, almeno il pudore della morte rimanga. Ma andiamo con ordine.

Mentre il furbetto del quartierino focalizza l'attenzione solo sull'amministrazione di turno, perpetrando il gioco della sedia (o della poltrona in questo caso), le grandi multinazionali si fanno amici i burattini di quell'invenzione oramai obsoleta e sistematicamente corrotta che sono i partiti politici di ogni ordine e grado: è lo stesso principio di delega che va rimesso in discussione, ma di democrazia partecipativa (o partecipata) parleremo un'altra volta. Ci preme partire da lontano perché si sa, oggi “lontano” vuol dire solo lontano dagli occhi, ma il mercato e la tecnocrazia arrivano ovunque nel mondo. Si rende pertanto assai prezioso il confronto con le vicende avvenute in Bolivia, in quanto il problema dell'acqua pubblica non è di Cori, Latina o Italia ma è un problema mondiale destinato inevitabilmente ad aggravarsi. Non c'è nessun elettore che con un pezzo di carta infilato in un cartone ogni cinque anni possa dire di vivere in una democrazia. La vera democrazia non delega, ma indaga e vigila sui propri interessi che sono quelli di tutti, chi dice il contrario fa anch'egli parte della razza dei ladri, tanto fortunata nel nostro “bel paese”, ma è ora di cambiare. Il cambiamento non passerà mai dalla delega ad un politico, è umanamente impossibile che un singolo individuo si assuma la responsabilità di gestire tutti i beni comuni, ma pensare che la soluzione sia privatizzarli è credere ciecamente in un fondamentalismo neoliberista che ci ha regalato il mondo inquinato, guerrafondaio e sull'orlo del collasso, quale quello in cui viviamo. Un individuo isolato come un sindaco (qualsiasi) con la sua amministrazione è perciò stesso reso ricattabile, corruttibile o nei migliori casi arginatile. L'unica risposta possibile è che la cosa pubblica sia gestita da tutti coloro che, onestamente, vivono e apportano ricchezza al proprio territorio, nell'interesse di tutti, sapendo che questa è l'unica vera maniera di curare anche il proprio interesse. L'uomo non è lupo tra gli uomini, questa è solo una delle culture e delle civiltà possibili, è quella che ci hanno insegnato dalle televisioni (in primis), dai giornali e dalle stesse scuole primarie e secondarie. Fascismo e comunismo sono solo nomi di illusioni passate, il cambiamento non è mai dal grande al piccolo, ma solo partendo da se stessi si può realmente sperare di cambiare: se stessi, i propri affetti e quindi la società. La vera utopia è quella dello sviluppo e della crescita infinita, paradigma arcaico e caro solo alle oligarchie; un nuovo umanesimo parte proprio dalla consapevolezza del potere personale di ognuno, che non si limita ad una scelta di burattini di destra e sinistra, ma si fa strada attraverso il lento e inesorabile cambiamento della coscienza propria e del paradigma economico nel nostro caso. Il problema non è “pubblico vs privato”, ma sta nella libera presa di responsabilità degli abitanti di un territorio, un territorio che senz'acqua (arsenico a parte), non può né “svilupparsi” né vivere. Ci sembra giusto partire dall'acqua, perché ci riguarda tutti, è una questione trasversale sia politicamente che socialmente e accusare una o l'altra amministrazione significa mordersi la coda, l'obiettivo dev'essere un paese (o i comuni coinvolti) uniti per riprendersi l'acqua che era propria e che è stata comprata da una multinazionale francese. Sapete cosa significa? Quando gli abitanti di un territorio perdono il controllo delle proprie risorse, quel territorio può essere categorizzato come paese in via di sviluppo, altro che aperitivi e vacanze al mare, tempo quindici anni e staremo cò le pezze...

Ciò che ne consegue è che possiamo imparare qualcosa anche da un altro paese, considerato in via di sviluppo, la Bolivia appunto.

“Nel 1999 la compagnia statunitense Bechtel assume la gestione del servizio idrico a Cochabamba, la terza città della Bolivia. Il prezzo dell’acqua viene triplicato, vengono imposti l’obbligo di acquisto di permessi per accedere alla risorsa e addirittura un sistema di licenze per la raccolta dell’acqua piovana. Dopo un anno di gestione il 55% degli abitanti continua a non avere accesso all’acqua.

Nel giro di pochi mesi gli abitanti di Cochabamba vedono aumentare le tariffe del 300%, mentre le condizioni precarie delle reti idriche e fognarie non subiscono alcuna operazione di mantenimento o miglioramento (Vi ricorda qualcosa?). La spesa media dell’acqua arriva a toccare circa 12 dollari mensili, su un salario medio di 60 dollari; le tariffe vengono adeguate al dollaro statunitense, costituendo una grave perdita del potere d’acquisto per una popolazione già in condizioni di estrema povertà; gli alti costi richiesti per le connessioni domiciliari sono a carico degli utenti e l’accordo con Aguas del Tunari proibisce l’uso di fonti alternative naturali, non riconoscendo il sistema di auto-organizzazione dei cittadini e non rispettando i costumi tradizionali delle comunità e dei loro sistemi tradizionali di approvvigionamento.

Nell’aprile del 2000 centinaia di migliaia di persone scendono in piazza e marciano a Cochabamba contro il governo, costretto a fare marcia indietro e a revocare la legislazione sulla privatizzazione dell’acqua. Il contratto con la multinazionale Bechtel viene interrotto e il servizio idrico ripubblicizzato. La vicenda, conosciuta come “Guerra dell’Acqua di Cochabamba”, ha assunto un alto valore simbolico nell’ambito delle lotte per la difesa dei beni comuni, dimostrando che la partecipazione popolare può portare ad esercitare una reale influenza sulle decisioni riguardanti la gestione della cosa pubblica.” (Fonte: www.cdca.it)

Questo importante precedente intercontinentale è stato in qualche modo riverberato ad Aprilia, dove la cittadinanza unita ha cercato di fare fronte comune (trasversale) contro il colosso Acqualatina. Il gigante trema davanti a un popolo unito e noi? Lasceremo che siano gli apriliani a combattere le nostre stesse battaglie? Come per la famigerata Turbogas? L'unico modo per uscirne è lottare insieme, condividendo strumenti di lotta pacifici ma risoluti e risolutivi. La popolazione unita ha il potere di delegittimare una grande corporation come quella che sta dietro ad Acqualatina, se lasceremo sola Aprilia e non faremo fronte unito con tutti gli altri comuni della provincia, assieme agli abitanti di altri quattro comuni nella provincia di Frosinone e due nella provincia di Roma, coinvolti anche loro contro questa scandalosa truffa, degna dello sdegno di un popolo, orgoglioso della bellezza del proprio territorio e della speranza che ancora molti di noi ripongono gli uni negli altri. (Continua...)

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